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Leopardi, Giacomo

(Recanati 1798-1837 Neapel) : Dichter, Essayist, Philosoph, Philologe

Subjects

Index of Names : Occident / Literature : Occident : Italy / Philosophy : Europe : Italy

Chronology Entries (3)

# Year Text Linked Data
1 1811-1832 Giacomo Leopardi abonniert die Annali di scienze e lettere, in denen viele Artikel über China enthalten sind, so z.B. der Code Da qing lü, Artikel, die Ugo Foscolo zugeschrieben sind und eine gekürzte Fassung des Essai sur la langue et la littérature chinoise von Abel-Rémusat [ID D1915]. Er liest die Biblioteca italiana, Edimburgh review, Journal des savants und seit seiner Kindheit Bücher über Asien und China, die in der Bibliothek seines Vaters stehen, vor allem die Raccolta di tutte le controversie seguite in varj tempi intorno ai ritti Chinesi [ID D22869].
  • Document: Corradini, Piero. On the birth of Italian lay sinology in the 19th century. In : Proceedings of the tenth international symposium on Asian studies ; vol. 1 (1988). (CorP1, Publication)
2 1813 Leopardi, Giacomo. Storia dell'astronomia [ID D22867].
Quelle : Missionare, vor allem Ferdinand Verbiest.
Er schreibt : "La sí decantata astronomia de' Cinesi non è in realità che una chimera."
  • Document: Corradini, Piero. On the birth of Italian lay sinology in the 19th century. In : Proceedings of the tenth international symposium on Asian studies ; vol. 1 (1988). (CorP1, Publication)
3 1817-1832 Leopardi, Giacomo. Pensieri di varia filosofia e di bella letterature = Zibaldone di pensieri [ID D22868].
Hauptquelle : Raccolta di tutte le controversie seguite in varj tempi intorno ai ritti Chinesi [ID D22869].
Leopardi schreibt :
"Che sarebbe l'aritmetica se ogni numero si dovesse significare con cifra diversa, e non colla diversa composizione di pochi elementi ? Che sarebbe la scrittura se ogni parola dovesse esprimersi colla sua cifra o figura particolare, come dicono della scrittura Cinese ?"
"La meravigliosa e strana immobilità e immutabilità della nazione Chinese, dev'essere derivata certo in grandissima parte, e derivare dal non aver essi alfabeto né lettere, ma caratteri esprimenti le cose e le idee, cioè un dato numero di caratteri elementari e principali rappresentanti le principali idee, i quali si chiamano chiavi, e sono nel sistema di alcuni dotti Chinesi 214, in altri sistemi molto più, in altri molto meno, ma il sistema delle 214 è più comune e il più seguito da’ letterati chinesi nella compilazione de' loro dizionarii. I quali caratteri elementari o chiavi diversamente combinati fra loro (come ponendo sopra la chiave che rappresenta i campi, l'abbreviatura di quella che rappresenta le piante, si fa il segno o carattere che significa o rappresenta primizia dell'erbe e delle messi; e ponendo questo medesimo carattere sotto la chiave che rappresenta gli edifizi, si fa il carattere che significa tempio, cioè luogo dove si offrono le primizie) servono ad esprimere o rappresentare le altre idee: essendo però le dette combinazioni convenute, e gramaticali, come lo sono le chiavi elementari; altrimenti non s'intenderebbero. Nel qual modo e senso un buon dizionario chinese dovrebbe contenere 35.000 caratteri come ne contiene il Tching-tseu-toung, uno de' migliori Dizionari che hanno i chinesi. La quale scrittura in somma appresso a poco è la stessa che la ieroglifica… La lingua chinese è tutta architettata e fabbricata sopra un sistema di composti, non solo quanto ai caratteri, ma parimente alla pronunzia, ossia a' vocaboli. Giacché i loro vocaboli radicali esprimenti i caratteri non sono più di 352, e 383. Ed eccetto che il valore di alcuni di questi vocaboli si diversifica talvolta per via di quattro toni, dell'uno dei quali si appone loro il segno, tutti gli altri vocaboli Chinesi sono composti; come si vede anche nella maniera in cui si scrivono quando si trasportano originalmente nelle nostre lingue".
"Così che la lingua Chinese quanto supera le altre lingue nella molteplicità, complicazione, e confusione degli elementi e della costruttura della scrittura, tanto le avanza nella semplicità e piccolo numero degli elementi dell'idioma".
“Un tal popolo dev'essere insomma necessariamente stazionario. E qual popolo infatti è più meravigliosamente stazionario del Chinese, nel quale abbiamo osservato una somigliante costituzione ? Sir George Staunton, Segretario d'Ambasciata nella missione di Lord Macartney presso l'Imperatore della China, nella introduzione alla sua versione inglese del Codice Penale dei Chinesi, nota in questa nazione, come fra le cause di certi ragguardevoli vantaggi morali e politici posseduti, secondo lui, da essa nazione, vantaggi che non possono, secondo lui, essere agguagliati con esattezza in alcuna società Europea, nota, dico, la quasi totale mancanza di dritti e privilegi feudali ; la equabile distribuzione della proprietà fondiaria ; e LA NATURALE INCAPACITA ED AVVERSIONE E DEL POPOLO E DEL GOVERNO AD ESSERE SEDOTTI DA MIRE D'AMBIZIONE, E DA DESIO D'ESTERE CONQUISTE".
"In somma la scrittura Chinese non rappresenta veramente le parole (che le nostre son quelle che le rappresentano, e ciò per via delle lettere, che sono ordinate e dipendenti in tutto dalla parola) ma le cose; e perciò tutti osservano che il loro sistema di scrittura è quasi indipendente dalla parola : così che si potrebbe trovare uno che intendesse pienamente il senso della scrittura chinese, senza sapere una sillaba della lingua, e leggendo i libri chinesi nella lingua propria, o in qual più gli piacesse, cioè applicando ai caratteri cinesi quei vocaboli che volesse, senza detrimento nessuno della perfetta intelligenza della scrittura, e neanche del suo gusto, giacché le opere chinesi non hanno né possono avere né versificazione, né ritmo, né stile, e conviene prescindere affatto dalle parole nel giudicarle; le loro poesie non sono composte di versi, né le prose oratorie di periodi; il genio della lingua non ammette il soccorso delle comuni particelle di connessione, e presenta meramente una fila di immagini sconnesse, i cui rapporti devono essere indovinati dal lettore, secondo le intrinseche loro qualità. E così viceversa bene spesso taluni, dopo aver soggiornato venti anni alla China, non sono tampoco in grado di leggere il libro più facile, benché sappiano essi parlar bene il chinese, e farsi comprendere".
"La lingua cinese può perire senza che periscano i suoi caratteri: può perire la lingua, e conservarsi la letteratura che non ha quasi niente che far colla lingua; bensì è strettissimamente legata coi caratteri. Dal che si vede che la letteratura cinese poco può avere influito sulla lingua, e che questa non ostante la ricchezza della sua letteratura, può tuttavia e potrà forse sempre considerarsi come lingua non colta, o poco colta".
"Non è verisimile che la lingua chinese si sia conservata la stessa per sì lunga serie di secoli, a differenza di tutte le altre lingue. Eppure i suoi più antichi scrittori s'intendono mediante le stesse regole appresso a poco, che servono ad intendere i moderni. Ma la cagione è che la loro scrittura è indipendente quasi dalla lingua, e la lingua chinese potrebbe perire, e la loro scrittura conservarsi e intendersi né più né meno. Così dunque io non dubito che la loro antica lingua, malgrado l'immutabilità straordinaria di quel popolo, se non è perita, sia certo alterata. Il che non si può conoscere, mancando monumenti dell'antica lingua, benché restino monumenti dell'antica scrittura. La quale ha patito bensì anch'essa, e va soffrendo le sue diversificazioni; ma i caratteri (indipendenti dalla lingua nel chinese) non essendo nelle mani e nell'uso del popolo, (massime nella China, dove l'arte di leggere e scrivere è sì difficile) conservano molto più facilmente le loro forme essenziali e la loro significazione, di quello che facciano le parole che sono nell'uso quotidiano e universale degl'idioti e de' colti, della gente di ogni costume, d'ogni opinione, d'ogni naturale, d'ogni mestiere, d'ogni vita, e accidenti di vita (20). E lo vediamo pur nel latino, perduta la lingua, e conservati i caratteri, quanto alle forme essenziali, e al valore. Così nel greco. Ora nella China, conservato l'uso, la forma, e il significato de' caratteri antichi, è conservata la piena intelligenza delle antiche strutture, quando anche oggi si leggessero con parole e in una lingua tutta diversa da quella in cui gli Antichi Chinesi le leggevano".
"La scrittura chinese non è veramente lingua scritta, giacché quello che non ha che fare (si può dir nulla) colle parole, non è lingua, ma un altro genere di segni; come non è lingua la pittura, sebbene esprime e significa le cose, e i pensieri del pittore. Sicché la letteratura chinese poco o nulla può influire sulla lingua, e quindi la lingua chinese non può fare grandi progressi."

Paolo Morelli : Leopardi comincia a interessarsi della lingua e della scrittura cinese nell’aprile del 1821, su sollecitazione di alcune letture, e non se ne occuperà più dopo il maggio dello stesso anno, se non per ritornarvi brevemente nel 1828, citando in francese un articolo sull’uso dei caratteri cinesi in Mongolia e in Giappone. Ne continuò a parlare per semplici accenni, durante pensieri sull’invenzione del linguaggio e meditazioni collegate, che scorrono nel corso di tutto lo Zibaldone. Un interesse breve ma approfondito che rivela non solo stupore, ma pure uno sconcerto.
Nello Zibaldone farà ancora menzione della Cina, per esempio a dimostrazione della diversità di gusto e d’opinione (come quando critica l'uso cinese di storpiarsi e farsi il piede piccolo perché ciò è reputato bello, mentre il bello deve essere secondo natura, cioè conveniente).
La conclusione, a cui egli era giunto, vale a dire che tutte le lingue si sono formate da un'unica lingua madre, o da pochissime lingue primitive, e che le civiltà si sono sviluppate di pari passo alla lingua, si sospende davanti al mistero dell'immobilità del cinese e quindi della civiltà cinese, una civiltà che non anela al progresso, così come lo si intende in Occidente.
Per lui resta comunque un mistero il fatto che possa esistere una lingua non-alfabetica che non sia morta (come la geroglifica egiziana), e che, quindi, le alfabetiche non siano le uniche possibili a una civiltà millenaria. La sua tesi è che, dopo l'introduzione della scrittura dipinta o geroglifica, l’uomo aveva conservato ancora la sua natura primitiva, ma che con l'invenzione della scrittura in cifre aveva rapidamente fatto progressi nel senso dell’artificiosità. Invece si trova di fronte una civiltà allo stesso tempo vetusta e ricca, ma che conserva la sua scrittura primigenia, con ininfluenti variazioni.
Ora, il suo è sì lo stupore dello studioso, di chi fa dello studio della lingua un oggetto, principale, di meditazione filosofica, ma è pure lo sconcerto di chiunque si avvicini all'idioma (e alla scrittura) cinese. Uno sconcerto che permane oggi, nonostante le odierne apparenze, di fronte alla diversità, per non dire all’impenetrabilità della civiltà di quel popolo. E chi è abituato alle forme alfabetiche, dovrà cambiare buona parte del suo atteggiamento mentale nei riguardi dell’espressione, se vorrà accostarsi alla lingua cinese senza avere la sgradevole sensazione di un macigno incombente.
Ma, allo sconcerto per il nuovo e l'inusitato, in Leopardi si unisce la meraviglia. Per ragioni filosofiche più che meramente caratteriali, egli non poteva non essere attirato dalla forza di un’immutabilità culturale così varia e doviziosa. La quiete e l'inattività, che egli riconosce come peculiari della cultura cinese, sono per lui piaceri naturali, quindi insopportabili per l'uomo civile. Eppure, nella filosofia che aderisce a quel popolo, proprio quiete e inattività sembrano virtù cardinali. Sebbene si vadano moltiplicando, all'epoca, le traduzioni (o meglio i tentativi di traduzione), di opere fondamentali del pensiero della Cina, soprattutto in lingua francese e tedesca, sul suo tavolo arriva poco o nulla. E forse è un bene, perché, della lingua e della scrittura cinesi, e del loro rapporto con la civiltà cinese, Leopardi sembra aver già colto gli elementi fondamentali, e delle opere incerte e lacunose non avrebbero certo approfondito né aumentato la sua comprensione di fondo, la sua meravigliosa intuizione.
Eppure si trovava di fronte qualcosa che contraddiceva una tesi che andava dipanando da tempo, e la curiosità avrebbe voluto che Leopardi si chiedesse come mai la scrittura cinese si inseriva così male nell’assioma della stretta rispondenza tra lingua e evoluzione della civiltà.
Leopardi nota subito, rimanendone affascinato, 'l'immobilità e immutabilità' della nazione cinese. E immediatamente associa tale immobilità alle caratteristiche della scrittura cinese. Quando incontra il cinese, sta seguendo il filo di un pensiero sulla civilizzazione dei popoli dopo l’invenzione degli alfabeti ('Popolo umano totalmente naturale e incorrotto, non esiste. Tutti hanno origine da un medesimo popolo, il quale fu corrotto prima di emetterli. Ma questa originaria corruzione, secondo le diverse circostanze naturali o accidentali o qualunque, in altri passò più o meno avanti, poi si fermò e divenne stazionaria - come nel Messico, nella China; in altri retrocedette, poi risorse, poi seguitò e segue sempre a progredire, come in Europa'). Per Leopardi tutte le lingue hanno origine da un'unica lingua. Il linguaggio è una meravigliosa invenzione comune a tutte le popolazioni del mondo, precedente alla divisione del genere umano. Egli sostiene che l’origine di tutti gli alfabeti è stata una sola, che si tratta di un autentico miracolo dello spirito umano, e che all'inizio tutte le lingue erano monosillabiche ('balbettanti come fanno i fanciulli, che da principio non pronunziano mai se non monosillabi'). Inoltre, per Leopardi, una lingua formata è la più completa immagine del carattere della nazione che la parla, sanzionando l’allontanamento dalla natura con l’invenzione della scrittura per cifre, che, 'finché il mondo non l'ebbe, conservò proporzionatamente lo stato primitivo. Così pure in proporzione, dopo l'uso della scrittura dipinta, e della geroglifica'.
L'interesse di Leopardi sta per arrestarsi di fronte all'enigma, al paradosso di un mondo chiuso, che "ha inventato polvere, bussola, e fino la stampa; ha infiniti libri, ha prodotto un Confucio, ha letteratura, ha un gran numero di letterati, fino a farne più classi distinte, con graduazioni, lauree, studi pubblici ec. ec. ma non ha alfabeto". Quindi rimane irrimediabilmente diverso, e a noi nascosto. E, almeno in parte, è forse proprio la scrittura ad aver prodotto tale diversità.
  • Document: Leopardi, Giacomo. Pensieri di varia filosofia e di bella letterature di Giacomo Leopardi. [Edited by a commission under the direction of Giosuè Carducci]. Vol. 1-7 in 4. (Firenze : Successori Le Monnier, 1898-1900). = Zibaldone di pensieri. [Geschrieben 1817-1832].
    [Darin enthalten sind Notizen über die chinesische Sprache und Literatur, Geschichte und Gesellschaft]. S. 807, 942-945, 1019, 1059, 1179. (LeoG2, Publication)
  • Document: Corradini, Piero. On the birth of Italian lay sinology in the 19th century. In : Proceedings of the tenth international symposium on Asian studies ; vol. 1 (1988). (CorP1, Publication)
  • Document: Morelli, Paolo. Leopardi cinese : http://ilgiardinodigiacomo.spaces.live.com/blog/cns!D4CBCC966E911A11!519.entry. (LeoG4, Web)

Bibliography (3)

# Year Bibliographical Data Type / Abbreviation Linked Data
1 1813 Leopardi, Giacomo. Storia dell'astronomia : dalla sua origine fino all'anno MDCCCXI. A cura di Franco Piperno. (Rende : Università della Calabria, 2001). (Italianistica ; 5). [Geschrieben 1813 ; darin enthalten ist ist ein Text über die chinesische Astronomie]. Publication / LeoG1
2 1817-1832 Leopardi, Giacomo. Pensieri di varia filosofia e di bella letterature di Giacomo Leopardi. [Edited by a commission under the direction of Giosuè Carducci]. Vol. 1-7 in 4. (Firenze : Successori Le Monnier, 1898-1900). = Zibaldone di pensieri. [Geschrieben 1817-1832].
[Darin enthalten sind Notizen über die chinesische Sprache und Literatur, Geschichte und Gesellschaft].
Publication / LeoG2
3 2010 Morelli, Paolo. Leopardi cinese : http://ilgiardinodigiacomo.spaces.live.com/blog/cns!D4CBCC966E911A11!519.entry. Web / LeoG4